OLTRE
IL PROGRAMMA OCCUPAZIONALE
Di Marco Fantoni
Testimonianze:
Nadia Banfi ha lasciato con la fine del 1996 la conduzione del Programma Occupazionale
"Mercatino" di Caritas Ticino a Lugano che guidava dal 1988, pur continuando
a collaborare con Caritas nello lotta alla disoccupazione. Ha passato il testimone
a Marco Fantoni che ha raccolto la sua testimonianza.
D: Nadia, perché hai deciso di lasciare questo tuo ruolo di co responsabile
del PO"Mercatino" che con Demetrio Zanetti portavi avanti da diversi
anni? Dopo tutto la tua esperienza poteva essere ancora valida, in modo particolare
oggi?
R: La decisione di lasciare questo ruolo all'interno di Caritas Ticino di
coresponsabile è maturata in me già un anno fa, appunto constatando
il peggioramento della situazione nel mondo del lavoro e da parte mia il non
più bisogno di un guadagno, quindi ho deciso di prestare eventualmente
a Caritas Ticino la mia attività di volontariato, comunque di lasciare
questo posto per permettere ad altri, prima di tutto di fare questa esperienza,
che è un'esperienza positiva e bella. Poi, confrontandomi con queste
persone che venivano a chiedere posti di lavoro, mi sentivo toccata in prima
persona, sentivo di dover fare qualcosa per loro. E questo mio qualcosa oltre
il lavoro, oltre la preoccupazione per loro, era anche quello di cedere un posto
nel mondo del lavoro, anche in un periodo dove i doppi stipendi sono un po'
messi in discussione. Anche se il mio era soltanto un mezzo stipendio, nella
mia famiglia era comunque un doppio stipendio. Mi sentivo un po' toccata in
questo punto ed è stata una questione di coscienza. Devo dire che non
è che non abbia fatto fatica a decidere, c'è stato un anno di
riflessione, di preparazione a lasciare questo posto anche perché giustamente
mi sentivo abbastanza forte per continuare, per dare ancora molto, ma mi dicevo
sempre: "Un sacrificio non è sacrificio, una rinuncia non è
una rinuncia se non c'è un po' di sacrificio." In caso contrario
è un abbandonare semplicemente le cose senza metterci qualcosa di tuo,
ed io ci metto un grosso sacrificio a lasciare questo lavoro.
D: Tu hai partecipato sin dall'inizio a questa sfida a favore dei disoccupati
che Caritas Ticino ha voluto affrontare già dal 1988 con le prime iniziative
proprio a Lugano. Come hai vissuto l'evoluzione di questa scelta che da allora
si è confrontata con situazioni sempre più gravi?
R: Giustamente ho partecipato a questo programma sin dall'inizio
e da allora c'è stata una grandissima evoluzione. Se penso a quando abbiamo
iniziato, con quattro o cinque persone con la struttura completamente da modificare,
un vecchio capannone in condizioni incredibili ed abbiamo cominciato a lavorarci
con queste poche persone cercando di creare spazi di lavoro e possibilità
di lavoro. Queste persone allora erano in modo particolare persone che venivano
dal sociale, cioè con problemi, erano disoccupati che mancavano dal mondo
del lavoro da molto tempo, ma non erano il disoccupato di oggi, provenivano
già dall'assistenza e seguiti dai servizi sociali. Un'esperienza completamente
diversa dall'attuale perché, oltre al lavoro c'era un sostegno verso
queste persone in quanto, più del lavoro avevano bisogno di molte altre
cose; di essere ascoltati, aiutati, di trovare loro un appartamento, sempre
in collaborazione con il servizio sociale, però ci occupavamo anche di
questo. Poi man mano che il problema della disoccupazione è aumentato,
da noi sono arrivate sempre più persone "normali" cioè
che provenivano dal mondo del lavoro e sono aumentati anche gli utenti. Abbiamo
sviluppato nuove attività.
I programmai sono partiti in effetti con il ritiro mobili donati a Caritas Ticino
e su questi abbiamo cercato di costruire un'attività lavorativa. Dal
semplice ritiro e vendita dell'inizio, si sono sviluppati laboratori inerenti
i mobili. Il restauro, abbiamo visto che c'erano mobili con la possibilità
di restauro, di seguito la tappezzeria perché le sedie ed i divani necessitavano
anche questo tipo di riparazione, avendo tra l'altro tra i nostri collaboratori
un tappezziere. Poi l'équipe è aumentata è arrivato anche
un restauratore che si è occupato di questo settore. Pian piano questa
attività si è sviluppata. C'era la vendita, il restauro, la sistemazione
dei mobili, abbiamo ricevuto delle richieste per piccoli lavori di pulizia di
giardini e prati, poi con il ronco di Arbedo il giardinaggio si è sviluppato
verso la vigna, in quel momento, all'inizio degli anni '90 avevamo un giardiniere,
quindi si potevano seguire queste persone insegnando loro il mestiere. Da un
paio d'anni a questa parte è scopertine/coppiato il grosso boom della disoccupazione
e nel PO di via Bagutti arriviamo ora ad avere fino a 52 posti di lavoro, sempre
mantenendo quel carattere artigianale, sviluppando queste attività, tenendo
in considerazione la concorrenza; su questo siamo sempre stati attenti. Il restauro
mobili viene maggiormente effettuato sui nostri mobili che po; vengono venduti.
La questione trasporti si è sviluppata intorno a questa attività
andando verso gli sgomberi in quanto ci siamo accorti che da noi la gente vive
maggiormente in appartamenti. Dunque quando viene a mancare una persona, un
parente anziano c'è sempre il problema dello sgombero. I figli hanno
già delle unità abitative loro, prendono quello che possono ed
il resto è per lo sgombero. In questo campo c'è sempre abbastanza
lavoro. La vendita mobili ha prodotto come conseguenza, le consegne, in modo
particolare per i mobili grossi. E anche qui ci sono tre squadre specifiche
per sgomberi e trasporti ed una legata allo svuotamento dei containers dei vestiti
usati, legato al PO di Giubiasco. Da qui si vede come siamo partiti, con quattro
o cinque persone a metà dell'88 arrivando a 52, non perché Caritas
Ticino volesse avere 52 utenti, ma purtroppo perché l'attuale situazione
ci ha fatto trovare questa situazione di povertà, di bisogno di lavoro,
d'inserimento di persone, perciò ci siamo chinati ed avendo un ingranaggio
che partiva, l'aumento dell'utenza non è stato così difficile
da gestire. Bastava inventare attività. Difatti a fianco di quelle più
classiche, sulle quali è partito il PO se ne sono poi sviluppate alcune
che sono comunque sempre inerenti. Per esempio la falegnameria che grosso modo
serve sempre l'attività mobili, però qui abbiamo cercato strade
di falegnameria industriale, con un genere di costruzioni, di fabbricazione
a nuovo di cassoni per i trasporti. E queste sempre scelte in funzione della
non concorrenza. Sono lavori che diversamente verrebbero fatti all'estero e
in linea di massima non sono fattibili da industrie ticinesi perché troppo
poco retribuite e possono essere fatte solamente all'interno di un PO.
D: Parliamo un po' del ruolo di responsabile all'interno del PO "Mercatino"
o più precisamente del ruolo di tutti coloro che qui hanno la responsabilità
di accogliere delle persone disoccupate con storie e situazioni diverse, ma
in molti casi simili, e condividere con loro le giornate di lavoro.
R: Alla base del ruolo dell'operatore e dei responsabile, per me essendo
un PO di Caritas c'è sempre stato il rispetto nei confronti della persona
che si presenta da noi per cercare un posto di lavoro e che ha alle sue spalle
un vissuto. Qualsiasi vissuto esso sia non sta a noi giudicare, arriva la persona
che ha bisogno di lavoro, quindi un'attenzione, un'accoglienza di queste persone.
Detto questo però tutto quanto si svolge nei PO sia fra gli operatori,
sia fra operatori ed utenti è un normale rapporto di lavoro, come in
qualsiasi altro posto di lavoro, fatta eccezione dell'accoglienza e di quanto
dicevo prima. Quindi ci sono regole di lavoro ben chiari, orari da rispettare,
modi di lavorare il più vicino possibile alla realtà lavorativa
che sta all'esterno dei PO, sempre tenendo in considerazione che questa persona
è qui per essere reinserita nel mondo del lavoro. Quindi gli sforzi per
andare in questa direzione, pur tenendo conto di tutta la problematica della
persona. Non per niente ci siamo sentiti dire da gran parte dei nostri operatori
che qui si lavora come in altri posti ma con un altro tipo di considerazione.
L'attenzione che tutti gli operatori cercano di dare alla persona è sentita
dalla grande maggioranza degli utenti e questo vuol dire che, a parer mio, quando
si affrontano questi problemi, tenendo in considerazione la persona si arriva
al punto che questo viene capito, viene recepito dall'utente medesimo che non
è una finzione, ma realtà. Il ruolo del responsabile è
un ruolo per costruire assieme agli operatori ed all'utenza un ambiente di lavoro
che sia il più possibile vicino all'ambiente di lavoro esterno, ma allo
stesso tempo un ambiente di lavoro dove la persona si senta non come numero,
non come oggetto. Questo crea poi una continuità con molti nostri utenti.
C'è un ritorno anche solo per raccontare la propria situazione. Alcuni
hanno trovato un posto di lavoro anche tramite noi o per mezzo nostro. Il fatto
che una persona possa lavorare dopo diversi anni per sei mesi, questo facilita
comunque un reinserimento, si reinserisce anche da solo senza che necessariamente
l'abbiamo fatto noi. Tornano per raccontarci del fatto di aver trovato il lavoro,
magari anche per lamentarsi che dove lavorano attualmente non è come
lavorare nei PO di Caritas Ticino, oppure tornano per dirci che sono ancora
senza un'occupazione, tornano a chiedere se possono rifare il programma, tornano
a dirci che sono in assistenza e che non ci stanno bene per niente, ma in ogni
caso tornano a raccontarci la loro vita.
D: Incontrando queste persone a volte c'è il rischio di farsi coinvolgere
in situazioni personali, proprio perché ascoltandoli ci si può
far trasportare da sentimenti umani comprensibili. Hai potuto affrontare questo
aspetto in modo obiettivo?
R: È chiaro, non è facile non farsi coinvolgere perché
si è a loro contatto durante 6 mesi, ma anche soltanto durante il colloquio
iniziale, quando si ascoltano le difficoltà che molta parte della popolazione
ticinese deve affrontare. Però è importante non farlo perché
altrimenti si arrischia di lasciar troppo di personale lì dentro, di
stancarsi, di sfinirsi. Bisogna dosare un po' questo coinvolgimento, non si
può non avere coinvolgimento perché altrimenti non ci sarebbe
quel giusto rapporto, però bisogna imparare a dosarsi. Per me non è
stato tanto difficile, vista l'esperienza e l'età che mi permettevano
di avere già un occhio critico sulle situazioni, su tutto. Però
non è facile, difatti tra i miei giovani collaboratori, ho avuto modo
di dover aiutare anche alcuni di loro a superare queste crisi dì coinvolgimento,
di sentimentalismo, comprensibilissimi ma che comunque non servono alla persona
in quel momento. In quel momento servivano delle prese di posizione in cui i
sentimentalismi ed il coinvolgimento dovevano essere lasciati fuori. Questo
per esempio quando bisogna decidere di licenziare qualcuno, quando bisogna cioè
prendere dei provvedimenti severi e chi ti fanno riflettere sulle conseguenze
della persona stessa. Ad un certo momento però bisogna essere obiettivi
e cercare quello che è il meglio che necessariamente non è il
fatto di tenerlo, magari è il fatto di farlo andar via.
D: Cosa resta dopo che una persona ha lasciato il PO? Hai potuto riscontrare
una continuità di rapporto da parte loro?
R: Un fatto abbastanza divertente che mi è capitato, per dire come
si rimane nella testa di queste persone, è quello di essermi sentita
chiamare in un grande magazzino: "Caritas". All'utente resta in mente
l'operatore, la persona, il responsabile, ma alla fine quando non ci si ricorda
del nome nella più grande confusione gli esce almeno Caritas. Questo
per dire come infondo Caritas è sentita, sia nel bene che nel male.
D: Ti ricordi un aneddoto particolarmente positivo?
R: Ricordi ed aneddoti positivi ce ne sono diversi. Fra le persone che siamo
riusciti a collocare, ci sono persone che lavorano tuttora, magari a distanza
di tre o quattro anni. Ho un esempio positivo di un ex impiegato di banca che
ha lavorato 6 mesi da noi, dopo 4 anni di disoccupazione ed al momento di terminare
il nostro programma, aveva più di 50 anni, non si era ancora trovato
niente e questa persona veniva sempre a dire che non voleva più tornare
a timbrare. Durante gli ultimi giorni è uscito un posto di portiere di
notte in un albergo, lavoro non sicuramente facile e oltretutto piuttosto mal
pagato. Questa persona mi ha detto: "lo lo prendo, non mi fa niente, voglio
lavorare, questi 4 anni di non lavoro mi avevano proprio distrutto come persona".
E difatti è stato collocato. Dopo un anno, questa persona ha fatto "carriera"
è diventato ricezionista ed ho avuto occasione di trovarmi con lui ultimamente
e mi dice che è rinato, malgrado non sia più il suo lavoro di
prima, mi ha detto che non è stato mai così contento come ora
e che si trova meglio di quando lavorava in banca, visto il contatto con la
gente. Ma come questo ce ne sono tanti altri.
D: Come ci si sente dopo aver tentato tutto il possibile per trovare il posto
di lavoro ad una persona e non esserci riusciti, infondo ci si potrebbe scoraggiare
vista l'attuale situazione?
R: Come si è già detto prima, uno degli scopertine/copi principali è
la ricerca del posto di lavoro. È chiaro che noi ci mettiamo tutto di
noi stessi per trovarlo, dall'88 in poi anche qui si è visto un cambiamento.
Adesso i posti di lavoro non ci sono, sono pochissimi e quindi la ricerca è
sempre impegnativa, nel senso che lo scopertine/copo è sempre quello che anche
in un mondo in un periodo come questo di crisi, di mancanza di lavoro, lo scopertine/copo
che ci spinge è quello di trovare il posto di lavoro per queste persone.
Facciamo tutto il possibile, ce la mettiamo tutta però è chiaro
e sappiamo che non sarà possibile trovarlo a tutti. Quindi cosa capita,
si la frustrazione c'è, però non è che ci abbatte in modo
tale da non avere la forza di continuare a non andare avanti con gli altri.
Sappiamo che comunque qualche cosa a queste persone è stato lasciato,
come detto prima. È stata data se non altro la possibilità di
confrontarsi ancora con se stessi, col lavoro e con tutto, ed anche se nel periodo
che siamo stati lì noi non lo abbiamo trovato, loro vanno nel mondo del
lavoro con una sicurezza in più, quella che perlomeno di avere ricominciato
a rispettare gli orari ad arrivare puntuali, ad alzarsi la mattina per svolgere
determinati lavori per 8 ore al giorno, quindi sono più sicuri secondo
me nell'affrontare anche personalmente una ricerca di lavoro di come non lo
erano prima di venire da noi. Hanno avuto un banco di prova e partono più
sicuri. È chiaro la crisi c'è, il lavoro non c'è. Quindi
almeno per me non è mai stato uno scacco matto il non trovare lavoro
ad una persona. Mi so sempre detta che con questa persona non c'ero riuscita
ma però speravo ed a volte avevo constatato che avevo lasciato parecchio,
anche se non era il lavoro. Il lavoro mi auguravo che comunque lo potesse magari
trovare.
D: Cosa farà ora Nadia Banfi? Che tipo di contatti manterrà
con Caritas Ticino?
R: Cercherò magari in lontananza di fare la nonna, perché
mamma rimango ancora, ma non ho più grandi compiti come tale, adesso
potrò fare la nonna e comunque resterò in ogni caso legata a Caritas
Ticino perché sento di avere ancora parecchio da dare. Farò in
maggior parte volontariato e su questo non mi risparmierò perché
il tempo ce l'ho ed il volontariato non mi pone i problemi di coscienza che
mi poneva l'essere responsabile del programma che lascio. Rimarrò legata
a Caritas Ticino perché mi trovo bene e perché ho la possibilità
ancora di imparare, di maturare, di crescere dentro, con tutti i collaboratori,
sia dei programmi sia dei servizi di via Lucchini. Rimarrò lì
e sarò sempre a disposizione di chi ha bisogno e questo non solo perché
ho io da dare ma perché ho da ricevere e sento ancora un grande bisogno
di ricevere.